Categoria: Critiche e recensioni

Per l’immortalità (una estrema applicazione del pensiero di Luigi Pirandello)

In passato si è già parlato di un contrasto fra “Vita e Forma” che sembra attraversare l’intera produzione letteraria di Luigi Pirandello; Tilgher aveva individuato questo dramma di sottofondo ben prima della concezione e pubblicazione dell’ultima produzione pirandelliana, ed è forse questo anticipo sui tempi ad aver  originato l’imprecisione che pur poco toglie ad una simile intuizione. Dopotutto, l’idea stessa di forma si colloca nel contesto di una dicotomia forma-materia, che porta ad una scomoda convivenza e vicendevole supporto fra i due enti. Forma è, essenzialmente, distinzione nella materia, la quale è a sua volta un ente
a-categorico, più unito dell’unità, se mi si concede la suggestiva “sofistata”. Di per sé’ la materia è mistero puro, noumeno, e di certo non è né viva né morta: distinguere in essa la vita e la morte presuppone già l’impiego di una forma della razionale percezione umana, il preponderante approccio di conoscenza di cui disponiamo. E’ per questo che parlare di un contrasto fra “Vita e Forma” (da notare la lettera maiuscola impiegata per entrambi i termini: la materia è tutto fuorchè Maiuscola) in un ambito diverso da quello della forma che smaschera sé stessa non è del tutto esatto: lungi da me l’affermare che una simile questione non sia presente nelle pagine scritte da Pirandello, anzi. Ma non si tratta dell’argomento di cui ho intenzione di trattare adesso. Per il nostro percorso occorre fissare, nei limiti del possibile, un porto sicuro a cui poter tornare per un confronto produttivo al termine di ciascuna delle quattro tappe che presto affronteremo: il contrasto fra materia e forma sarà il nostro punto di partenza e la rotta da tenere sempre a mente.

Fernando Pessoa: un’anima alla finestra

Tutti quanti sono, più o meno,  a conoscenza di quell’espediente letterario chiamato pseudonimo per cui , al fine di mascherare la propria identità, un autore firma il proprio lavoro con un nome fittizio. Tuttavia questo mascheramento è parziale: l’identità “intellettuale” di chi scrive resta invariata: idee, stile di scrittura, sentimenti e modo di ragionare non subiscono mutamenti, anzi: solitamente chi si avvale di uno pseudonimo lo fa proprio per poter esprimere più liberamente le sue idee più intime, senza il timore di veder soggetta ad aspri commenti e giudizi la parte più autentica del suo essere. Ma quando anche questa “identità intellettuale” viene occultata e sostituita con una nuova creata appositamente, s’inizia a parlare di eteronimo, ovvero la creazione ad hoc di una figura letteraria che l’autore vuole far passare come autonoma e reale,  con biografia, personalità, stile ed opinioni che spesso differiscono da quelle del suo creatore, detto ortonimo. Vi sono poi alcuni poeti che hanno trasformato questo espediente in una vera e propria poetica, come nel caso del portoghese Fernando Pessoa, attivo nella prima metà del ‘900, di cui tratteremo in questo breve commento.

Sto giocando a ICO

Finalmente.

Prima di avere la possibilità di salvare la mia partita ad ICO ho dovuto aspettare poco meno di una settimana; prima di poterci giocare ho dovuto aspettarne una e mezzo; prima di avere una copia a casa, un paio di mesi; prima di sapere di volerci giocare, vari anni. Quello che mi passava per la testa negli ultimi giorni era: certo che il decennio fra il 1995 e il 2005 dev’essere stato una rapida successione di anni mirabiles per il mondo videoludico (senza entrare nel merito degli altri campi, molto spesso parimenti esaltanti, quali quello della musica).

Quando sono riuscito a giocare ho ricominciato il gioco cinque o sei volte, perché appunto non potevo salvare. Ero arrivato anche abbastanza avanti in alcune sessioni. Poi inevitabilmente cascavo in maniera idiota da qualche sporgenza o mi prendevano Yorda e mi ricordavo di non avere nemmeno visto per sbaglio l’ultimo checkpoint utile, e quindi magari di dover addirittura ripetere qualche zona superata solo per pura fortuna; per cui spegnevo la console, una PlayStation 2 gentilmente elargitami dai miei zii Fausto e Maura, ma sprovvista di memory card.

ICO non è di certo il tipo di gioco che ti costringe a continuare, il che è abbastanza una boccata d’aria, ma senza poter salvare la cosa non è destinata a durare molto.

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