Categoria: Frammenti

Educazione onirica

Dovete sapere che a volte mi capita di prendere l’aereo. Pur non trattandosi di un’impresa particolarmente complicata, trascurando il prezzo del biglietto, nel mettere piede sul velivolo ciascuno si trova puntualmente costretto ad affrontare il proprio momento critico, una situazione che non cessa mai di mettere in difficoltà il passeggero di turno. Per alcuni il decollo dell’aeroplano può essere il fattore scatenante di una breve crisi di pianto, per altri è l’atterraggio ad tramutarsi in un’esperienza snervante, mentre altri ancora potrebbero vacillare ogniqualvolta si dovessero ritrovare  nelle condizioni che li costringerebbero a visitare la toilette di bordo. Nel mio caso specifico, la grande sfida è trovare il posto a sedere comunicatomi all’acquisto del biglietto, sul quale risulta chiaramente indicato. Nonostante questo, fino all’ultimo secondo mi ritrovo a mio malgrado divorato dal dubbio di aver inavvertitamente occupato il posto che sarebbe spettato di diritto ad un ignaro passeggero, il quale, trovando la propria poltrona conquistata da un perfetto sconosciuto e non avendo intenzione di compiere lo sforzo di far notare il malinteso, potrebbe attribuire la colpa dell’intera situazione alla sua distrazione, accomodandosi così in un altro sedile dal numero simile a quello originariamente assegnatoli,  e scatenando così una devastante reazione a catena che si concluderebbe solamente nel momento in cui un indignato passeggero dovesse reclamare la legittima poltroncina. L’intera catena verrebbe dunque ripercorsa, in senso opposto questa volta, con un continuo crescendo della folla inferocita costretta ad alzarsi per cedere il posto a sedere, divenendo sempre più numerosa e desiderosa di individuare il responsabile di questa catastrofe logistica: in questo caso il sottoscritto, beatamente ignaro di tutto sino all’arrivo del furioso energumeno di turno.

 

Atmosfera di una sera cittadina

Tutte le sere invernali erano uguali: pace e tranquillità. Il cuore del paesino era una piazzetta su cui si affacciavano gli edifici più importanti, quali la scuola elementare, il bar centrale, l’ambulatorio, la chiesa e qualche attività commerciale. Pur vivendo lì dall’infanzia, nessuno sapeva suo il nome: a *** quello era l’unico punto di ritrovo per giovani ed adulti, così tutti si limitavano a chiamarla “La Piazza”, anche perché era difficile confondersi dato che era unica nel suo genere. Ma in quelle sere invernali, nessuno si muoveva di casa. Gli abitanti erano ghiacciati così come qualsiasi superficie del paesino, facendo sì che su *** calasse il silenzio più totale. Solo le anime più devote si dirigevano alla Chiesa per partecipare alle Messe serali ed ora stavano uscendo. La maggior parte erano anziani che, appena messo fuori il naso, rabbrividivano e volgevano uno sguardo alle loro spalle come se volessero tornare indietro. Alcuni si dirigevano verso la loro casa, altri si fermavano al bar per fare quattro chiacchiere e discutere su come il tempo stesse influenzando la loro salute. A loro si univano poi altri che coraggiosamente uscivano di casa solo per prendere un caffè e partecipare alle quotidiane lamentele verso il comune in quanto non aveva ancora provveduto a mettere il sale sulle strade pericolosamente gelate. La Piazza era deserta. Ormai fuori si udiva soltanto il rumore del vento che accarezzava gli edifici e si insinuava tra i rami degli alberi spogli. Un leggero fruscio accompagnato dal fischio del treno che passava circa ogni mezz’ora. Le luci degli appartamenti illuminavano la strada principale della Piazza che con l’inverno aveva in parte perduto la sua vitalità.

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Affannato

Questa notte, dopo l’incubo, mi sono svegliato e ho respirato sangue. Lo sentivo pesantemente stagnare sul fondo dei polmoni, un lago orrendo dove sprofondava tutta l’aria inalata, senza speranza d’uscirne. Ho pensato che sarei morto, e anche adesso, solo a ripensarci, avverto un acuto dolore in mezzo alle costole, al cuore oppresso dal sangue mio, eppure alieno ed ospite indesiderato, che goffamente s’ubriaca del vino da egli stesso rovesciato al suolo e per il quale si batte con i cani bastardi, affinchè sia la sua lingua ruvida e infiammata quella che andrà a leccare il liquore misto a polvere che si espande nel mio petto, e con un bruciore immondo il fiato, appesantito e di piombo, sprofonda fra gli immobili mulinelli cardiaci e marcisce sul fondale sanguigno.

Mikel Marini

Girona

Girona dà l’impressione di essere una città obliqua, come il piano su cui essa è costruita. Obliqua la melodia che il vagabondo obliquamente trae da un obliquo clarinetto, e storte, solo salite senza discese, sono le pietose stradine che tendono oblique al cielo, e obliqua diventa anche la mia anima, piegata dalle note gravi, vagabonde e pesanti, a formare tutto un angolo segreto nel quale si rannicchiano sogni e sensazioni e pensieri, all’ombra di una immensa piramide soggettiva eretta dagli infiniti moti che confluiscono tutti, obliquamente, nella stessa incomprensibile direzione, sotto il sole e le ombre dell’obliqua Girona.

Mikel Marini

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